2006 - 1943 - 1945 - 1943 - 1945 - 1943 - 1945 - 1943 - 1945 - 2006

IL PARTIGIANO "TITO" (Vito Bonadies)

... scivolando attraverso il tempo ...

 “L’8 di Settembre 1943 ...è il punto di partenza di quel grande movimento per la Libertà che si chiama Resistenza...”*

“... Secondo me quel giorno la Patria rinacque. Rispetto a chi dice il contrario, ho un vantaggio: io c’ero” (Ciampi). *

“... Fu il giorno delle emozioni: la gioia per l’armistizio con gli anglo-americani, la rabbia per la notizia che il Re e Badoglio si erano dati alla fuga, sicuramente la delusione per la caduta delle false certezze di cui il regime aveva nutrito i giovani... Sicuramente l’incertezza, il dubbio, lo sbandamento totale alla frase ambigua: “La guerra continua!”

La guerra contro chi? - ci chiedemmo noi tutti – cosa fare, dove andare, quali le alternative possibili?

Un dilemma maggiore per chi era militare. Io, l’8 Settembre mi trovavo a Cividale di Udine, come volontario carabiniere, impegnato con un raggruppamento di alpini che effettuava rastrellamenti in Jugoslavia. Quando vado nelle scuole a parlare con i ragazzi spesso dico loro che io, come tanti altri, ho fatto le due guerre: dal 1940 al 1943 come aggressore, e poi dal 1943 a fine guerra come partigiano.

Le giornate dall’8 al 13 Settembre furono veramente sconvolgenti. La notizia dell’armistizio era arrivata il 9, al mattino, e l’unico ordine che ci venne dato fu quello di restare in attesa di ordini... Ordini che non arrivavano mai, mentre le pattuglie che uscivano non rientravano più. Quando il mattino del 13 sparì anche il mio ufficiale e fummo completamente abbandonati, la decisione di rientrare a casa, senza farsi prendere dai tedeschi, a noi apparve sicuramente la più giusta.

Rientrai alla fine di Settembre, ci arrivai a piedi, senza mai prendere un treno, aiutato dalla gente  incontrata sul mio cammino. Abitavo a Pianezza, con i miei genitori (mamma Lucia e papà Alfonso), 3 sorelle e due fratelli (Sarà mio fratello Giuseppe, all’epoca 16enne, a raggiungermi in montagna nell'ottobre del '44, stanco delle prepotenze nazi-fasciste a cui era sottoposta la nostra famiglia considerata "probabilmente" di un Partigiano).

Fu Nello Farina, pure di Pianezza, a prospettarmi l’idea di salire in montagna.

Lo fecero in tanti: è così che si formarono le prime bande di resistenti, dapprima disorganizzate e confuse, sicure solo di dover sfuggire ai tedeschi (come militari eravamo considerati disertori). Queste bande di resistenti in continuo aumento, obbligavano il CLN - appena costituitosi - a trovare urgenti soluzioni organizzative per coordinare l'attività partigiana da un lato, e dall'altra ad evitare tristi atti vandalici, che si sarebbero potuti verificare lasciando queste persone abbandonate a se stesse. Si costituirono pertanto i CLN locali, formati da tutti i partiti antifascisti, con lo scopo di coordinare l'attività partigiana durante la guerra di Liberazione, e appoggiare il Corpo Volontario della Libertà (C.V.d.L.)nella lotta contro il nazifascismo, in prospettiva della costituzione dei governi locali. Il Corpo Volontari della Libertà fu pertanto costituito dalle formazioni partigiane in base all'indirizzo politico (Garibaldi, G.L., Matteotti, Autonome...). Tale organizzazione rese regolare, per quanto possibile in quelle condizioni, la presenza delle truppe partigiane nei termini militari di lotta ai nazifascisti e regolarizzò i rapporti con i civili. Il C.V.d.L. aveva anche funzione giuridico-penale nei confronti dei Partigiani che incorrevano in atti contrari alle norme che ci eravamo dati.

Bande, nuclei, squadre, distaccamenti, brigate, divisioni, sono termini che indicano il percorso di crescita numerica, politica, organizzativa, di quello che stava diventando il grande movimento di libertà: la Resistenza.

Certamente non tutti salirono in montagna fin dall’inizio: ci fu chi aspettò prima di fare questa scelta. Il movimento “attendista” fu la risposta di chi valutò le scelte e rifiutò di entrare a far parte dei militi della Repubblica di Salò.

Io salii in montagna, al Colle del Lys, zona Mompellato, con il grande comandante “Deo” (Tonani Amedeo) della 17ª Brigata garibaldina “Cima” e presi, come nome di battaglia, “Tito”. Divenni ufficiale di amministrazione con il compito di controllare l’operato dei garibaldini, operanti nel territorio della 17ª Brigata, nei confronti della popolazione, e curare nello stesso tempo gli interessi della Brigata; poi divenni “Gino”, comandante di intendenza di Brigata, con il compito di provvedere al vettovagliamento dei Partigiani. Il ruolo prevedeva un rapporto di collaborazione con la popolazione, per evitare che venissero compiuti abusi, e far si che i cosiddetti “prelievi” di viveri venissero compiuti in modo regolare.

Il corpo Volontario della Libertà provvedeva a distribuire i famosi “buoni di prelievo” emessi dal CLN, per trovare una soluzione civile e democratica al problema del vettovagliamento dei partigiani (non c’erano altri aiuti).

Come Partigiani ci siamo dati anche giornalini murali. Tutti potevamo scrivere il nostro pensiero: una forza politica in movimento che comunicava all’interno (infondendo coraggio) e all’esterno (informazione clandestina)...

I tedeschi, che prima ci chiamarono “banditi”, cominciarono ad usare il termine “ribelli”, riconoscendo, senza probabilmente volerlo, il ruolo di tutti gli uomini che seppero rinascere dalla disfatta dell’8 di Settembre...”

*Pezzo liberamente tratto da“Luna Nuova” ( n. 62  del 2 Settembre 2005 – articolo di Bruna Bertolo - e dal libro "Testimonianze sulla Resistenza in Rivoli" - testimonianza di Vito Bonadies). Letto oggi – 8 Settembre 2006 - per conferma, da Vito Bonadies già Tito/Gino, nostro presidente di sezione.